rob van den berg è un giovane artista di origine olandese, recentemente laureato in decorazione all’accademia di belle arti di venezia. il termine scultura può risultare limitativo per definire i suoi lavori, dato che generalmente sono costituiti dalla presenza di diversi elementi che, insieme, hanno la capacità di creare un discorso complesso. di conseguenza, possono essere intesi come delle composizioni in cui emerge una matrice fondamentale creata dal rapporto tra la dinamica temporale e quella spaziale, ben incarnata in (a)temporary work, opera vincitrice della sezione scultura del premio nocivelli. si tratta di un progetto nato a partire da una ricerca su alcuni luoghi abbandonati che l’artista porta avanti dal 2015 e composto da due elementi principali: il primo, ovvero un tavolino strutturato come una teca, al cui interno sono conservate delle tracce di intonaco insieme a un documento; il secondo, un rettangolo dipinto di verde sul muro, lo stesso colore del materiale posto sotto vetro. sono alcuni reperti riconducibili all’ex complesso dell’ospedale al mare del lido di venezia e alla sua stessa storia, una struttura di cura formata da un’architettura a padiglioni e abbandonata nel 2006. l’artista ci racconta, così, il paradosso legato a questo luogo, ovvero che un posto deputato alla cura sia stato completamente lasciato andare a se stesso senza più alcuna premura verso la sua stessa esistenza. il lavoro è anche il memento di un’esplorazione e di un’azione, quella di andare a grattare la parete di un ufficio presente nell’ospedale e di raccoglierne la superficie verde, un colore solitamente utilizzato per dare una sensazione di benessere ai pazienti, riproponendolo sia sotto vetro che su muro. viene attuata in questo modo un’operazione di traslazione spazio-temporale grazie alla delocalizzazione di tale elemento, che mette in luce la critica insita verso lo stato di abbandono. la parte di intonaco ridipinta nel sito della mostra rende tangibile la storia dell’edificio e mette le persone in condizione di toccare la traccia rimasta, ponendosi in contatto con il ricordo del luogo di sua provenienza.
giada pellicari, 2017 |